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TRANSGENDER - definire una definizione

Il testo che segue, a firma di Helena Velena, e' tratto dal volume LESSICO POSTFORDISTA (Feltrinelli Editore)
e rappresenta un tentativo di fornire una chiave di lettura per definire l'identifinibile, cioe' l'identita' della disidentita'.
Ma nonostante l'aleatorieta' VA dello stesso transgender, determinate coordinate necessitano di essere definite,
per evitare che questo termine finisca per essere una giustificazione lesssicale e immaginifica per la totale
vuotezza identitaria non solo del cialtronismo di soubrettes come Luxuria, ma anche di chi cerca di ridefinire
in termini di ordine, sudditanza e controllo sociale, soprattutto all'interno della stessa comunita' GLBT,
una praxis di vita, unica nell'ambito del gender, che propone una "liberta' di essere" fuori dai ghetti psichici
della mendicazione di una 'accettazione sociale da parte della Societa' dello Spettacolo e del Consumo.


TRANSGENDER - una definizione
Per comprendere il senso preciso di "transgender" (TG) bisogna innazitutto definire cosa significa "gender", concetto in Europa a lungo sconosciuto e spesso erroneamente sostituito dal termine "sex" considerato sinonimo, a causa di una difficile traduzione del termine stesso. Rimandiamo quindi alla voce "gender" di Liana Borghi in questo stesso volume.
Il transgender nasce in realta' non da una base teorica, ma da un conflitto sociopolitico concreto, quando il collettivo newyorkese "Queer Nation", lanciando la pratica dell' "Outing", cioe' del disvelamento pubblico della condizione omosessuale di personaggi famosi del mondo della musica, cultura e spettacolo, viene sostanzialmente ripudiato dal movimento gay americano. La Queer Nation quindi, fondendo la propria pratica politica di responsabilizzazione sociale con la consapevolezza del proprio humus appunto queer, cioe' composto di uomini gay, travestiti e donne transessuali, principalmente di origine latina e afroamericana, e quindi bel lontano dallo status gay bianco middle class, decide di staccarsi completamente dal mondo piu' propriamente omosessuale, e di ridefinirsi come "Transgender Nation", dando quindi al gender una valenza, anche politica, molto maggiore che al sex o alla espressione sessuale della propria "queerness". Ne nasce in breve tempo un'analisi del gender non piu' in relazione tipicamente femminista al concetto di sex, ma come ridefinizione di un costrutto identitario fluido e multiplanare, ma anche conflittuale coi processi di normazione in atto all'interno delle istanze socio/sessuali minoritarie (gay, lesbiche, travestiti etc.) e come tali presuntamente rivoluzionarie. In breve tempo, e soprattutto grazie a internet (ma in periodo pre WWW), ne nasce un importante dibattito, ad opera inizialmente di un collettivo australiano e del gruppo della TN nel frattempo migrato a San Francisco, che viene rapidamente influenzata dalle letture, o meglio da una nuova consapevolezza delle passate letture dei pensatori francesi, da Sartre a Foucault, ma soprattutto Guattari e Deleuze ed il loro concetto di nomadismo.
L'esperienza della Queer Nation pero' porta un'irruzione, piuttosto inedita per gli Stati Uniti, del "personale nel politico" che da li' a poco, nella pratica della Transgender Nation, determinera' un'analisi verificativa del proprio percorso privato e della propria esperienza di vita come base per definire un approccio piu' generale di sistemizzazione teorica piuttosto che di teorizzazione pura, spesso non applicabile ne applicata nella concretezza della quotidianita'
Non e' affatto un caso quindi che una buona parte delle pubbliche menti pensanti transgender (incluse quelle qui citate) abbiano un percorso personale di tipo transessuale, generalmente di tipo MTF (da Maschio a Femmina) e si identifichino tra l'altro come lesbiche, perche' la propria elaborazione mentale e' nata da una verifica del lavoro effettuato sul territorio del proprio corpo e della propria conflittualizzazione della percezione del gender, piuttosto che dallo studio e successiva elaborazione delle teorie preesistenti.
Allo stesso modo le pubbliche menti pensanti FTM (da Femmina a Maschio), come Stephen Whittle o Leslie Feinberg, tg perfino nel modo di porsi (nome femminile, gender maschile, ruolo butch, lesbica in una relazione eterosessuale con una scrittrice femminista), oltre all'evidente lavoro di modificazione del se' come insieme corpo/mente, hanno un rapporto inscidibile col lesbismo (non solo per il proprio passato e/o per comune appartenza "queer"), e con gli studi femministi.
Queste influenze pero' vengono vissute semplicemente come tali, oppure come conferme di corrispondenze di piani interpretativi, piuttosto che un bagaglio ideologico-cognitivo iniziale su cui sviluppare una propria teoria.
Questo in parte spiega anche il motivo delle grandi crociate dai toni fondamentalisti prodotte dagli scritti di Mary Daly e soprattutto Janice Raymond, e condotte in ambienti lesbofemministi e separatisti contro il mondo transessuale prima ancora che la scena transgender, che finiva, finisce, finira' (ancora per poco, crediamo) per assumere forma meramente tribal/difensiva e conservatrice, su basi esclusivamente teoriche e ideologiche, basandosi su motivazioni cromosomiche come lo strutturalismo deterministico di Catherine MacKinnon, essenzialiste, soprattutto il cosiddetto pensiero "della differenza" europeo, e troppo spesso ciecamente oscurantiste. Rifiutandosi in cio' di verificare una prassi che va ben al di la' della teoria, e che mostra la pervasivita' del sentire molteplice, in grado anche di attraversare trasversalmente femminismi e ortodossie militanti di qualunque ambito, mostrando l'esistenza di un'incredibile varieta' di "altro" in termini di gender, razza, condizioni socioeconomiche, identificazioni spirituali e/o religiose, aspettative e pulsioni desideranti, e del melting pot incrociato di tutto cio', peraltro gia' riconosciuto dai queer studies e da alcune importanti pensatrici femministe.
La chiave di volta sta pero' nel rifiuto del processo generativo degli "ismi", quello che dalla teorizzazione marxiana porta al marxismo e al successivo utilizzo, nelle masse dei militanti, esclusivamente di slogans talmente semplificanti e decontestualizzati da risultare totalmente irrigidito, anti analitico e in aperta contraddizione con le intenzioni originarie, producendone una incapacita' di analisi e verifica delle mutazioni in atto, che porta ad un inevitabile evaporazione & fossilizzazione.
Alla base del transgender c'e' invece una spesso inconscia analisi situazionista della sopravvenuta incapacita', nel processo di trasformazione sociale "identitario-consumista" (dove le identita' si identificano nei consumi e sono oggetto di consumo esse stesse), da parte delle forme della politica e dell' elaborazione teorica tradizionale, di esercitare qualunque tipo di influenza e susseguente cambiamento sociale che non sia meramente minoritario in qualita' di avanguardia, e quindi merce autoconsumata di gratificazione militante.
Il transgender si va quindi a definire come "non movimento", ma piuttosto come "sentire fluido" in espansione costante nei tessuti del sociale, proponendo un messaggio fortemente libertario di interpretazione del se che parte dalla verifica della propria non adesione agli stereotipi e ai dettami del controllo sociale sul corpo e le sue forme espressive. Leggibile quindi come sorta di costola della sinistra anarchica che si insinaua e si diffonde nel tutto, evitando ogni indentificazione con le forme e i modi della sinistra istituzionale e radicale, anche femminista. Ma proponendone piuttosto un superamento partendo dal privato, come crescita e consapevolizzazione individuale, che come tale diventa parte integrante di un sentire universale de-ideologizzato ma comunque rivendicato, come gia' la queer theory, col suo processo di definizione allargata del soggetto antagonista, non solo in termini di scelte e comportamenti sessuali ("siamo tutti frocie"), aveva indicato.
E' evidente quindi in questo caso l'assenza di leaders, e la grande messa in evidenza invece delle esperienze indivuali, e comunque "comuni", di riappropriazione e manipolazione del proprio corpo, come base di partenza per una nuova prassi, piuttosto che teoria, di liberazione globale.

Si tenga comunque presente che se transgender spesso finisce per sovrapporsi con "transessuale" per un fatto di radicalizzazione dei patterns personali, non va comunque considerato ne come sinonimo "politicamente corretto" ne come indicatore di persona transessuale "non riconvertita genitalmente" (anche se tale categoria di gender hackers appartiene pienamente ad una prospettiva tg), ma e' piuttosto la presa di coscienza vissuta direttamente e quindi direttamente rivendicata, dell'insostenibilita' sociopolitica della fissita' identitaria, sia su basi biologiche che culturali. Ne risulta pero' conseguente che una buona parte della sistemizzazione del pensiero tg va in direzione del confitto aperto con le teorie lacaniane e soprattutto il susseguente (anche se non diretto) "trattamento" da parte della classe medica e della psichiatria ma anche psicoterapia (ormai) ufficiale, delle persone transessuali. E nello specifico contro la logica del "percorso di adeguamento" agli stereotipi, ma anche alle forme espressive tipiche, per necessita' di integrazione sociale, dettato dalla visione binaria del gender, proponendo piuttosto un "adeguamento della societa' alla comprensione dei meccanismi della libera espressione desiderante del se'".

Quindi secondo Helena Velena ("Transgender Antimanifesto") l'identita' di una persona e' determinata dall'incrocio "alchemico" di tre piani di variabili: il sex, il gender, e la preferenza sessuale (non "orientamento" proprio per negarne un'origine deterministica ma accettarne invece una possibile mutabilita'). Dimostrando la non binarieta' di questi tre piani (il sex presenta oltre 60 variabili riconosciute di intersessualita', il gender e' cosmicamente infinito nelle sue combinazioni espressive, e la preferenza e' gia' per se stessa de-bipolarizzata perfino all'interno di una dinamica etero, mostrando varianti nelle preferenze di ruolo sociale, comportamento sessuale, look, dinamica BDSM etc.) se ne ricava una infinita' possibile di combinazioni inascrivibile alla fissita' dei comportamenti di gender definiti come obbligatoriamente corrispondenti al sex biologico, perche' necessari alla struttura patriarcale e judaico-cristiana. Transgender e' quindi la consapevolezza della rivoluzionarieta' dell'autolegittimazione di qualunque risultante, sia di pattern che identitaria, interpretata in chiave di critica situazionista e opposta ali dettami della logica binaria.
Martine Rothblatt nel suo "Apartheid of sex" similmente spiega come le differenze genitali, ormonali, cromosomiche e perfino la fertilita' non siano caratteristiche sufficenti a giustificare una netta divisione binaria, e invoca una lotta di liberazione del gender parallela a quella contro l'apartheid razziale.
Sandy Stone, fatta oggetto di un violentissimo attacco da parte di Janice Raymond ("The transsexual Empire"), ha invece col suo "The Empire strikes back; a post transsexual manifesto" e vari altri scritti, gettato le basi dei Transgender Studies, dimostrando come tutte le identita', reali o virtuali, siano recitate in base ai dettami sociali comunicativi, e solo in base a cio' riconosciute e interpretate. Decostruendo quindi la performativita' del gender la Stone dimostra come non esista un modello unico comportamentale che sia gerarchicamente considerabile "di riferimento".
In tutt'altro ambito invece, negli ultimissimi anni del '900 Anne Lawrence, basandosi sulle ricerche di Ray Blanchard, ha ridefinito la teoria della "autogynephilia" che ha causato grandi polemiche nella comunita' TS ma anche TG, perche' riconosce, o rivendica a seconda delle interpretazioni, un processo di autofeticizzazione sessuale nelle donne transessuali, che pero' lungi dal riportare spettri deterministici, ha il merito di risessualizzare un dibattito identitario che stava cadendo in uno sterile libertarismo post decostruttivista.
E' invece con Riki Ann Wilkins, fondatrice di "Transexual Menace", un collettivo situazionista di azione diretta sociopolitica che il transgeder, anche attraverso la negazione del termine stesso, si ridefinisce come critica radicale al controllo sociale attraverso la sessualita' e l'identita', e si propone come forma sovversiva di contrattacco liberatorio piuttosto che come semplice "euforizzazione" della supposta, dalla classe medica, "disforia di genere".
Transgender e' quindi non soltanto l'autodeterminazione della definizione dei propri percorsi identitari e sessuali alla luce delle infinite possibilita' dell'esistente, ma e' anche la consapevolezza della politicita' della propria esperienza di diffusione di "molteplici diversita'", in una chiave di propagazione dell'alterita' tutta, piuttosto che nel "rovesciamento del processo di lettura dei valori, facendo diventare socialmente positiva la Devianza a sfavore della Norma", ne di "appoggiare una quantomai improbabile rivoluzione in cui gli oppressi di ieri diventino gli oppressori di domani".
Si tratta piuttosto di disvelare i meccanismi di produzione di merci identitarie e di soppressione libidinale neppure piu' funzionali al Capitale, ma il cui risclerotizzarsi in termini bipolari sta alla base del controllo sociale patriarcale e del rilancio in grande stile del modello di famiglia eterosessuale cattolica e monogamica.
Il Transgender in sostanza porta l'epicentro del conflitto sul piano sessuo-identitario, proponendo una pratica liberatoria avulsa dalle necessita' tranquillizzanti dei processi identificatori tribali, a favore di un percorso personale di fluidita' e/o costante ridefinizione all'interno di una totalita' espressiva a 360 gradi che permetta di sviluppare costantemente gli strumenti per combattere il patriarcato del "Maschio Bianco Eterosessuale", anche quando si manifesta in forme mimetiche o diametralmente opposte.
Un importantissimo work in progress per gli oscuranti anni a venire.
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